Sed libera nos a malo. Sapore di miele e profumo mancato

Sed libera nos a malo. Sapore di miele e profumo mancato

Si svegliò a tarda mattinata con una sensazione di secchezza alla gola. I giorni precedenti erano stati tormentati dal raffreddore più fastidioso che avesse mai avuto.
Quella giornata però era iniziata ancora più storta: aveva messo su la caffetteria,  ma tra uno sbadiglio e uno starnuto iniziava a chiedersi perché il caffè tardasse tanto ad uscire.
Non fece in tempo a formulare questo pensiero che il liquido nero bollente traboccò all’improvviso, inondando prima il fornello e subito dopo il piano cottura.

Perplessa, versò quel poco che si era salvato nella tazzina e iniziò a guardarla con più attenzione: mancava qualcosa.
Non lo zucchero, ci aveva rinunciato da 25 anni ormai.

Mancava il profumo.
L’odore.

Non c’era odore in quella cucina.

Il vapore saliva anonimo dalla tazzina ma, nonostante lei si avvicinasse col viso a tal punto da far appannare gli occhiali, del profumo di caffè non c’era nemmeno il minimo sentore.

Infastidita, diede la colpa al naso congestionato e buttò il caffè nel lavandino, decidendo che solo un bel bagno caldo l’avrebbe rimessa in sesto.

Seduta sul bordo della vasca vedeva l’acqua bollente salire di livello e già sentiva il nervosismo scivolare via; sorridendo prese quindi il bagnoschiuma e lo versò vicino al getto d’acqua, pronta a lasciarsi andare nel dolce sentore di vaniglia.

Il vapore però saliva anonimo e, nonostante lei si avvicinasse col viso all’acqua a tal punto da far appannare gli occhiali, del profumo di vaniglia non c’era nemmeno il minimo sentore.

Mancava il profumo.
L’odore.

Non c’era odore in quel fottutissimo bagno.

E niente aroma di caffè in cucina.

Inspirò profondamente con la narice meno malconcia ma lasciò andare presto il respiro, vuoto e insapore, inconfondibilmente neutro.

Cazzo.

Sbatté velocemente le ciglia per scacciare via il pensiero -quando era piccola funzionava sempre- ma quel giorno l’idea diventò nitida in un attimo e sarebbe stato inutile ricacciarsi nel torpore mentale in cui si era nascosta per giorni.

Perché sapeva che il rischio c’era, eccome se lo sapeva.

Il virus era intorno a lei da mesi e forse la lambiva da tempo.
I racconti del telegiornale, dei social, della gente comune erano infine riusciti ad  entrare in quella cucina, in quel bagno?

Si alzò lentamente e si guardò allo specchio cercando di vedere se in lei ci fosse qualcosa di diverso; dopo un attento esame, trovò lungo la tempia destra una sorta di grinza disegnata sulla pelle, una piccola linea appena accennata.

Bastò un attimo per far mente locale e lo riconobbe subito: era un filo di paura.

Si legó i capelli alla bell’e meglio mentre una lacrima scendeva fino al mento per poi finire chissà dove.

In un primo momento di panico dimenticò la prassi da seguire, i protocolli, le raccomandazioni e i numeri verdi da contattatare; dimenticò la differenza tra sierologico e molecolare, tra tampone rapido e quello “aspetta e spera…“.

Tornò in sé quel tanto che basta per dominare la situazione e come prima cosa impugnò risoluta il cellulare, neanche fosse una colt con proiettile d’argento pronta a sconfiggere un demone.

Chiamò, concordó, respirò. Male, ma respirò.

Drive-in, fila, tampone, casa.

Attesa.

Niente aveva più gusto, se non quel miracoloso cucchiaino di miele che sembrava addolcirle la bocca; come da tradizione, il barattolino magico era passato di generazione in generazione nella dispensa delle donne di casa sua, quasi fosse considerato il rimedio ad ogni singolo malessere immaginabile.
Chissà se nonna l’avrebbe mai immaginata così, rannicchiata davanti alla televisione con il barattolino magico in mano.
Sullo schermo si alternavano bollettini e ciarlatani, virologi preoccupati e cittadini urlanti.
Lei, sul divano di casa, sentiva stringersi il petto davanti a negazionisti e complottisti urlanti ammassati nelle piazze; per la prima volta in vita sua, si chiese perché la vita fosse così dannatamente ingiusta.
Un cucchiaino dopo l’altro rimase in attesa, di una risposta al tampone o… che ne so? Di un segno di rispetto verso chi, come lei, aveva ben poca voglia di urlare alla dittatura.

Continuò a cercare dentro al barattolo di miele un po’ di dolcezza, ricacciando in un angolo sperduto della mente il pensiero del virus che, al contrario di quanto sostenuto dal pensiero comune, iniziava a sapere di fiele.

Si affacciò quindi alla finestra, pensierosa.
I colori dell’autunno avvolgevano tenui i palazzi circostanti, le foglie cadute ballavano leggere ad ogni folata di vento.
Nel condominio di fronte, un movimento leggero catturò la sua attenzione: una donna, probabilmente sua coetanea, stava alla finestra avvolta da una coperta.
Aveva i capelli legati alla bell’e meglio e, come lei, almeno questo le sembrò di vedere, aveva una lacrima che scendeva fino al mento per finire poi chissà dove.

Si guardarono; entrambe d’istinto appoggiarono il palmo della mano sui vetri distanti, separate da una strada deserta che, in altri tempi, non le avrebbe mai fatte incontrare.
Accennarono un sorrisero, lieve, come si fa tra sconosciute.
E, in un attimo, capirono che presto ne sarebbero uscite più forti di prima.

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